Da batterista a
front man passando da " Punk e a capo" FRANZ - Io facevo una trasmissione televisiva, "Punk e a
capo", che aveva un grandissimo successo perché era la prima trasmissione televisiva
di rottura. Analizzavo le lettere che la gente mi scriveva e ne tiravo fuori una scaletta
che tentava di rappresentare i gusti e le tendenze del pubblico. Così andava a finire che
facevo passare pezzi che la televisione non avrebbe mai mandato in onda.
"Punk e a capo" era trasmessa da un'emittente molto piccola quindi io, godendo
di una certa libertà, usavo uno slang di tipo metropolitano, cioè la lingua che
parlavano i ragazzi per la strada. Ho sempre sostenuto che la maniera di esprimersi di un
cantante o delle altre persone dello spettacolo dev'essere molto vicina al linguaggio
corrente e magari anche esaltare ciò che si sente nel linguaggio di tutti i giorni. Per
esempio in quegli anni stava cominciando a diffondersi una certa abitudine alle
espressioni inglesi, che tuttavia come lingua restava poco conosciuto. Io italianizzavo
l'inglese o inglesizzavo l'italiano, utilizzando espressioni come "questo è un
filmato of the Madon", oppure "sono incazzato like a iena" usando
commistioni strane che evocavano una sorta di esperanto popolare. Un'altra caratteristica
interessante era l'invenzione di leggende metropolitane surreal-demenziali: per esempio
Eric Clapton veniva in Italia e andava a Biella a farsi fare la chitarra dal signor
Aiazzone, che all'epoca giganteggiava in TV con un martellamento di spot in cui ti faceva
vedere i tronchi che venivano dalla Finlandia. Lui, Aiazzone, segnava uno dei tronchi e
quindi diceva: "Ecco signora, quel tronco che ho appena firmato potrebbe essere il
suo mobile..." Allora Eric Clapton vede lo spot e dice: "Ah, quella è la mia
chitarra, la vedo, la sento!"
Questo tipo di linguaggio quasi da cabaret attecchì in modo solido e la trasmissione mi
diede una grande popolarità. Proposi al gruppo di lasciare, almeno in parte, la batteria
e di farmi coadiuvare da un altro batterista. Il gruppo fu d'accordo e dopo avere
acquisito la collaborazione di Walter Calloni cominciai questa nuova avventura da
front-man. La novità fu accolta bene, ma spostava tutti i pesi e gli equilibri che
c'erano prima. Spesso trovavamo un pubblico che ammirava il gruppo ma io trovavo spesso
uno stuolo di fan che inalberavano dei cartelli con sopra scritto 'Di Cioccio!'. La cosa
creava ogni tanto delle riflessioni tra noi, anche perché era un caso abbastanza fuori
dal comune. Il rock in quel periodo non stava attraversando un bel momento: non c'erano
ancora Vasco Rossi o gruppi come i Litfiba, che hanno in Piero Pelù un valido cantante
front-man. In pratica ero il primo front-man italiano all'americana, un personaggio che si
era abituati a vedere solo in gruppi stranieri. Tra l'altro, al di là dei nuovi stimoli e
della ovvia soddisfazione, per me il passaggio non fu per niente facile, perché dovetti
lasciare la batteria proprio all'apice della mia carriera di strumentista. In realtà
eravamo tutti in ottima forma, anche perché l'esperienza con De André ci aveva riportato
un po' tutti al nostro passato di session-men, facendoci concentrare sulle capacità
esecutive.
In questo nuovo assetto i problemi erano completamente diversi. L'esigenza di avere un
front-man coincideva con quella di fare discorsi più immediati, più incisivi. Volevamo
scrivere dei buoni testi, che parlassero al cuore della gente. Se noi abbiamo sempre
espresso ottima musica, di certo non avevamo mai composto un testo della forza di 'Hey
Jude' o 'Yesterday'. Inoltre, pur tra pareri spesso non del tutto concordi, ci sembrava
che si dovesse imprimere una sterzata rock al gruppo, in linea con l'evoluzione effettuata
con gli ultimi LP americani. Allora non lo sapevamo, ma eravamo in anticipo sui tempi.
L'ondata rock in America non era mai morta e di lì a pochi anni in Italia sarebbe
scoppiato un rock italiano di ottimo livello. Il risultato di tutte queste idee e
intuizioni fu "Suonare suonare".

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Flavio se ne va
FRANZ - Ce lo disse così, di punto in bianco:
"Ragazzi, io non vengo". Tipicamente alla Flavio Premoli: secco, dritto sui
denti e pam! Lo conoscevamo bene, era il suo stile e non ci sorprese.
Flavio aveva avuto una crisi di rigetto, proprio come era accaduto a Mauro. Non ne poteva
più. Non voleva più andare in giro, mangiare in giro, dormire in giro. Odiava viaggiare
da sempre, lo odiava anche quando eravamo in America. Flavio ama fare il
musicista puro e poi, la svolta rock di Suonare suonare non lo aveva molto
entusiasmato.
FLAVIO - Era il 1980, da poco avevamo realizzato l'album Suonare Suonare e ci accingevamo alla
solita tournée estiva. Suonare Suonare era un lavoro molto diverso dagli ultimi
realizzati (Jet Iag e Passpartù) ricco di canzoni ma
soprattutto, finalmente, aveva i nostri testi. Alla fine delle registrazioni però io ebbi
un sorta di rifiuto per tutto ciò che ruotava intorno al mondo della discografia ed
ai concerti. Questo lavoro necessita costantemente di "passione": quando questa
ti abbandona, anche solo per poco, diventa tutto troppo faticoso da portare avanti. Avevo
come impressione che il gruppo avesse ormai sperimentato tutto: i nostri obbiettivi, sia
artistici che personali, erano diventati diversi. Un giorno di giugno, mentre stavo
andando alle prove, come spinto da una forza irrefrenabile, girai la macchina e dissi
basta". Dopo alcuni mesi di pensieri e di confusione, capii che volevo praticare
un'esperienza, sempre ovviamente legata alla musica, che mi permettesse di creare, di
scrivere un po' tutto, di mettere in pratica la mia versatilità artistica.
FRANZ Senza Flavio cera un senso di vuoto, ma eravamo già piuttosto
grandicelli tutti quanti, per cui abbiamo detto "va be', se è destino..." e
abbiamo tirato avanti. Del resto c'era una tournée da fare.
Il ruolo di Flavio fu coperto in parte da Lucio Fabbri, che era con noi dai tempi
di De André. Lui suonava il violino e non era un tastierista puro, ma assunse il ruolo
con grande senso della responsabilità. il sound del gruppo non ne soffrì molto, un po'
per l'impostazione più ritmica e rockeggiante delle nuove canzoni, un po' perché io,
Walter e Patrìck formavamo una sezione ritmica di grande potenza, e con le due batterie
facevamo delle cose clamorose. Con gli assolo era un grande divertimento.
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Quando tutto
finì
Quando finì ci sentimmo svuotati. Eravamo a Torino ed era
il 1987. Ci siamo guardati un po' in faccia e ci siamo trovati d'accordo: non era più
divertente. Se non sai cosa vuoi fare di preciso, se non hai lo stimolo o il fuoco dentro
che ti spinge, se questo fuoco lo stai dirigendo su altri obiettivi, allora non vale più
la pena di tenere in piedi un gruppo. Così ci siamo detti: va bene, ognuno si fa i cazzi
suoi per un po' e poi vediamo. Una pausa di riflessione. Questa pausa è durata dieci
anni. Ma non ci siamo sciolti, e questo non credo sia un caso. La voglia di riprendere
c'è sempre stata. A me capitava spesso di sentirmi dire: "La PFM? Ah,
che peccato! Davvero non suonate più?". Così ogni tanto ne parlavo ai miei amici. E
un bel giorno
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